IL RISCALDAMENTO NEL NUOTO
A cura di Riccardo Quarta.
Le passioni guidano la nostra vita e vista la mia passione per il nuoto, non poteva mancare nel mio blog un articolo sul nuoto.
Il proposito del seguente articolo è fare una sintesi delle conclusioni
degli studi presenti in letteratura al fine di fornire indicazioni riguardo
all’efficacia o meno di eseguire esercizi di riscaldamento prima del nuoto
(agonistico e non) e più in particolare riguardo a modalità, tempi e intensità
degli esercizi stessi.
Sono stati quindi analizzati gli studi disponibili in PUBMED http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed, e
selezionati quelli più appropriati in termini di aderenza all’argomento,
riferimento esclusivo al nuoto, qualità metodologica e longevità di
pubblicazione. I termini utilizzati nella ricerca sono “warm-up”, “exercise” e
“swimming”. Sette studi hanno a mio parere soddisfatto i criteri di selezione e
sono stati perciò di seguito presentati.
Il warm-up nel nuoto
Come affermato anche da una revisione sistematica del 2014 sull’argomento[1] il riscaldamento
prima dell’attività fisica è oramai comunemente accettato come elemento
fondamentale nella pratica sportiva, ed è solitamente ritenuto ottimizzare la
performance: il razionale alla sua base è che il riscaldamento aumenti la
temperatura centrale e muscolare e il flusso di sangue e ossigeno alle cellule
muscolari, in modo da incrementare l’efficienza della contrazione muscolare e
migliorare la performance.
Tuttavia gli studi sugli effetti del warm-up nel nuoto sono scarsi, e
questo è dovuto alle caratteristiche (alta temperatura e umidità) del setting,
ovvero la piscina, e alla complessità e alla varietà delle procedure di
riscaldamento utilizzate.
Infatti lo studio ha evidenziato una mancanza di consenso anche riguardo al
fatto che il warm-up porti effettivamente a dei benefici, soprattutto riguardo
alla pratica agonistica: questo dato ha enfatizzato la necessità di valutare in
maniera più approfondita gli effetti del riscaldamento e di ottimizzarne la
progettazione.
Efficacia e intensità
La revisione sopra citata sostiene che gli studi più recenti analizzati
evidenziano effetti positivi sulla performance, soprattutto per distanze
superiori ai 200 metri. Le raccomandazioni finali degli autori suggeriscono un
riscaldamento in acqua su distanze moderate (1000-1500 metri) ad un’intensità
appropriata (tale da permettere un breve approccio al ritmo da gara) e un tempo
di recupero adeguato (dagli 8 ai 20 minuti) per prevenire l’affaticamento
precoce e permettere il ripristinarsi delle riserve energetiche.
Modalità
Warm-up attivo o passivo?
Un altro studio[2] ha comparato gli effetti delle varie forme di riscaldamento: attivo
(esercizi di forza), passivo (esercizi di allungamento) e misto (attivo e
passivo). Non sono emerse differenze significative fra le diverse modalità,
tuttavia il warm-up attivo ha riscontrato punteggi quasi identici a quello
“misto”, mentre quello passivo è stato associato a risultati leggermente
inferiori per quanto riguarda la performance (testata sui 100 metri a stile) e
la percezione di fatica misurata immediatamente dopo il warm-up: lo studio
sembrerebbe quindi suggerire che il warm-up attivo, per le variabili misurate,
abbia i migliori effetti sulla performance. Inoltre inaspettatamente i valori
più bassi di frequenza cardiaca dopo il warm-up e di percezione di fatica sono
stati rilevati nel warm-up attivo, i più alti nel warm-up passivo.
Quale intensità?
Un altro studio[3] ha misurato gli effetti di tre diversi tipi di warm-up (nessun warm-up,
warm-up corto e warm-up regolare) sulla performance (tempo nelle 50 yards),
tempo di reazione, distanza del tuffo, frequenza cardiaca, numero di bracciate
e percezione della fatica. Con warm-up “breve” si intendono solo due
ripetizioni delle 50 yds rispettivamente al 40% e al 90% del ritmo gara, mentre
con warm-up “regolare” si intende il warm-up abituale per ogni atleta, di cui
si è preso nota nello studio e che in media si attesta intorno ai 1300 metri. I
risultati sono stati diversi a seconda delle variabili indagate: il warm-up
regolare è stato associato a valori migliori rispetto al warm-up “breve” per
quanto riguarda la performance “media”, mentre come prevedibile la frequenza
cardiaca è stata significativamente più alta proprio nel warm-up regolare. Non
ci sono state però differenze significative fra le diverse modalità per quanto
riguarda il tempo di reazione, la percezione dello sforzo e la distanza del
tuffo. Inoltre, c’è stata una distribuzione abbastanza omogenea fra le diverse
modalità di warm-up per quanto riguarda il warm-up associato alla migliore
performance di ogni partecipante allo studio.
Per riassumere il warm-up regolare è stato associato a una migliore
performance ma non è risultato dare vantaggi significativi nelle altre
variabili indagate, inoltre alcune performance individuali sono state più
veloci con modalità diverse di warm-up.
Alternative al warm-up in acqua
Esercizi “dryland”
Un recentissimo studio controllato[4] ha evidenziato come gli esercizi di
attivazione a secco, con o senza il ricorso a tute fornite di sistemi di
riscaldamento, migliorino significativamente la perfomance nelle brevi
distanze. Il meccanismo ipotizzato è il mantenimento della temperatura centrale
e la diminuzione del tempo di partenza.
Gli esercizi di attivazione a secco, chiamati in inglese “dryland”,
comprendono esercizi avanzati per la core-stability ed esercizi in catena
cinetica chiusa per la muscolatura estensoria degli arti, dove è richiesta
prima una contrazione in eccentrica e poi una in concentrica (per degli esempi,
si vedano gli esercizi presentati in questo sito[5]).
Riguardo all’importanza della muscolatura addominale non solo per
incrementare la potenza del gesto atletico ma anche prevenire infortuni, un
altro studio[6] ha portato a risultati interessanti sull’importanza della core-stability
nella prevenzione della disabilità, non soltanto correlata al nuoto. Infatti in
una popolazione di 60 individui - affetti da lombalgia cronica e sottoposti a
della ginnastica in acqua - fra le molte variabili indagate (informazioni
demografiche, dolore, qualità di vita, resistenza della muscolatura addominale,
l’handgrip strenght test, il test del bending anteriore, la lunghezza degli
hamstring, la frequenza cardiaca a riposo e il BMI) solo cambiamenti nella
resistenza della muscolatura addominale (e ovviamente modifiche nel dolore,
misurato con la VAS) sono stati evidenziati come predittori significativi di
cambiamenti nella disabilità (misurata con l’ODI).
Esercizi di respirazione
Un altro studio[7] ha dimostrato inoltre l’efficacia degli IME (Inspiration Muscle
Exercise) nel migliorare la performance. In particolare nello studio i
gruppi che hanno praticato un warm-up in acqua associato a esercizi di
respirazione sono risultati significativamente più veloci (nei 100 metri) dei
gruppi di controllo, che hanno praticato rispettivamente solo un riscaldamento
in acqua o solo gli esercizi respiratori.
Potenziamento post-attivazione
Il PAP (Post-Activation Potentation) è un concetto relativamente nuovo
nella riabilitazione e pratica sportiva, e i suoi effetti sono ancora oggetto
di studio. Consiste nell’esecuzione di una contrazione pliometrica massimale
precedentemente all’esecuzione di un gesto atletico: si suppone che questa
pre-attivazione muscolare porti all’espressione di maggiore forza nel gesto seguente
(per una spiegazione più puntuale dei meccanismi che sottendono il PAP si veda
questo articolo[8] ).
Un’applicazione nel nuoto è quella relativa al tuffo iniziale, fondamentale
nelle gare su brevissima distanza: precedentemente al tuffo si eseguirebbe una
squat ad alto carico.
Uno studio[9] ha misurato il picco di forza sia verticale che orizzontale
nell’esecuzione di un countermovement jump e del tuffo in nove nuotatori
professionisti, con e senza l’applicazione del PAP e con diversi periodi di
pausa da esso. È emerso che rispetto alla tecniche di warm-up usate
abitualmente dagli atleti il PAP è associato a valori più alti di forza, sia
nel countermovement jump che nel tuffo vero e proprio, e che in particolare i
valori sono più alti se il PAP è eseguito 8 minuti prima della prova. Tuttavia
warm-up e PAP non hanno dimostrato differenze significative nella performance
della distanza misurata (il tempo nei primi 15 metri dopo il tuffo).
Quindi sicuramente l’argomento va approfondito, ma anche il PAP potrebbe
essere una valida aggiunta nel programma di esercizi di warm-up.
Conclusioni
La quantità di studi effettuati negli ultimi anni (come prevedibile di
significatività e qualità eterogenea) dimostrano il crescente interesse
riguardo all’argomento e la necessità di fornire dei dati oggettivi riguardo ai
parametri del riscaldamento. Le conclusioni sono spesso diverse e a volte
contrastanti: una buona prassi rimane quella di valutare con spirito critico i
risultati degli studi e di verificarne l’efficacia nella realtà riabilitativa e
sportiva. Tuttavia è innegabile che la letteratura stia producendo negli ultimi
anni anche studi di qualità e in ogni caso spunti molto interessanti.
Bibliografia
[1] “Warm-up and performance in competitive swimming.” (Neiva,
Marques, Barbosa, 2014)
[2] “Comparison of the effects of active, passive and mixed warm ups
on swimming performance.” (Adams, Psycharakis, 2014)
[3] “Effects of different types
of warm-up on swimming performance, reaction time, and dive
distance. (Balilionis, Nepocatych, Ellis e altri, 2012)”
[4] “Heated jackets and dryland-based activation exercises used as
additional warm-ups during transition enhance
sprint swimming performance.” (McGowan, Thompson, Pyne e altri, 2015)
[6] “Disability predictors in chronic low back pain after
aquatic exercise.” (Baena-Beato, Delgado, Artero e altri, 2014)
[7] “Respiratory muscle specific warm-up and
elite swimming performance.” (Wilson, McKeever, Lobb, 2014)
[8] “Post-activation potentation: an introduction” (Lorenz, 2011)
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