martedì 7 gennaio 2014


LE FRATTURE COMPLESSE DEL BACINO: FRATTURA ACETABOLARE.


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L'articolazione dell'anca è formata dalla testa femorale che si articola all'interno di una grossa cavità ossea del bacino a forma di scodella , molto robusta chiamata cavità acetabolare. La frattura di questa resistente cavità è sempre dovuta ad un trauma ad elevata energia quasi sempre associata ad altre grave lesioni di organi e grossi vasi addominali e/o lesioni di  importanti strutture nervose quali il plesso lombosacrale, il nervo sciatico, il femorale. 



Nei casi più complessi, la testa femorale che funge da martello sulla cavità frammentata quest'ultima lussandosi posteriormente perde ogni contatto anatomico. La capsula articolare messa in trazione dalla testa lussata, ghigliottina i vasi sanguigni che portano sangue alla testa femorale. Questa situazione è particolarmente grave e richiede la immediata riduzione della testa femorale nella cavità acetabolare per evitare la necrosi della testa per mancanza di apporto sanguigno. Purtroppo talvolta (>35% dei casi) grossi frammenti di parete ossea caduti all'interno dell'acetabolo impediscono la riduzione aumentando il rischio di necrosi. La ricostruzione chirurgica dell'acetabolo è indispensabile e si pone l'obiettivo di ripristinare la sfericità della cavità ossea all'interno della quale la testa femorale dovrà poter ruotare liberamente sotto carico. L'intervento chirurgico è particolarmente impegnativo e complesso, deve essere eseguito da un chirurgo pelvico che abbia al suo attivo una preparazione superspecialistica ed una lunga curva di apprendimento e può richiedere spesso un doppio accesso chirurgico, anteriore e posteriore. Lo scopo dell'intervento consiste nella riduzione dei frammenti ossei fratturati e la loro stabilizzazione rigida mediante l'utilizzo di placche e viti in acciaio o titanio, al fine di ricostruire la completa sfericità dell'acetabolo.




Acetabolo – Caso 1
Si tratta comunque di una chirurgia ad elevato rischio del quale il paziente deve essere informato dettagliatamente.

Rischio infettivo: le ampie vie di accesso necessarie per raggiungere i focolai di frattura, le manovre di riduzione spesso eseguite senza possibilità di visione diretta, l'osteosintesi con placche e viti metalliche (titanio o acciaio) comportano tempi chirurgici molto lunghi con esposizioni prolungate che aggravano il rischio infettivo (soprattutto superando le 5-6 ore).

Rischio tromboembolico: il trauma ad elevata energia, la concomitanza di ampie contusioni/lesioni di tessuti molli, organi cavi e parenchimatosi e vasi sanguigni, eleva notevolmente il rischio di alterazioni del processo coagulativo anche in presenza di opportuna profilassi.

Lesioni vascolari: spesso la presenza di numerosi frammenti ossei con bordi taglienti durante le energiche manovre di riduzione, possono provocare la lesione di importanti vasi sanguigni magari già parzialmente contusi o resi fragili dal trauma, causando la comparsa di emmorragie anche copiose.

Lesioni neurologiche: possono manifestarsi nel post operatorio per diverse cause:
1) l'accesso per via anteriore ed il necessario utilizzo di grossi divaricatori causa inevitabilmente lo stappamento del nervo cutaneo-femorale; il paziente accuserà la perdita di sensibilità della faccia anteriore della coscia. Più rara è la lesione del nervo femorale che causa la mancata estensione della gamba.
2) l'accesso per via posteriore sempre a causa dell'utilizzo di grossi divaricatori, può essere responsabile di forti trazioni sul nervo sciatico inibendone la funzione temporaneamente (8-10 mesi) ma anche definitivamente. Il paziente accuserà il piede cadente non riuscendo più ad eseguire la flessione dorsale (8-16% dei casi).

Condizioni nell'immediato post-operatorio
Dopo l'esecuzione di ampie vie di accesso spesso combinate (anteriore e posteriore) ed interventi che si prolungano per 5-6 ore, le perdite sanguigne possono essere anche importanti; assieme a profonde e durevoli anestesie e alle precarie condizioni del paziente consigliano spesso, per motivi di sicurezza uno stretto monitoraggio clinico per 24-48 ore presso l'Unità di Rianimazione. Nonostante gli importanti accessi chirurgici, la chirurgia del bacino non è frequentemente causa di intensa dolorabilità dopo l'intervento chirurgico. L'utilizzo di un cocktail farmacologico somministrato attraverso un sondino peridurale può all'occorenza ridurre efficacemente il dolore.

Mobilizzazione del paziente
L'osteosintesi interna delle fratture del bacino garantisce da subito forte stabilità e resistenza. Il paziente compatibilmente con eventuali lesioni associate, può essere mobilizzato indifferentemente nel letto, e potrà alimentarsi semiseduto. La posizione seduta a 90° potrà essere raggiunta almeno dopo 20 giorni l'intervento.

Convalescenza a domicilio nei primi 45 giorni.
Il riposo a letto dovrà protarsi per 30 gg. (anche per i bisogni fisiologici) e per almeno 45gg in scarico totale. 15 gg post-operazione inizia una mobilizzazione passiva giornaliera dell'anca operata sui 3 piani (15-20 min. due volte al dì) per ostacolare con la rotazione della testa femorale nella cavità acetabolare la formazione di cicatrici ossee esuberanti che potrebbero danneggiare la testa quando si articoli successivamente sotto carico. In 30 giorni postoperatori il paziente può , se adeguatamente assistito, assumere la posizione seduta a fianco del letto, essere trasportato in carrozzina ma anche raggiungere, aiutato, la stazione eretta con l'ausilio di due bastoni canadesi e deambulare assistito in appoggio monopodalico su l'arto inf. sano.

Controllo Rx-clinico a 45 gg postop.
Si consiglia di programmare un controllo RX bacino (in proiezione AP, otturatoria ed iliaca) ed una visita ortopedica da eseguirsi a cura del chirurgo pelvico che dovrà valutare l'opportunità di avviare il paziente al protocollo di carico e deambulazione sospendendo eventualmente la profilassi anti TVP in atto. E' pertanto indispensabile che prima della dimissione del paziente dal reparto di Traumatologia sia stata eseguita una visita Fisiatrica per programmare il ricovero presso l' UO di Riabilitazione a 60 gg. dall'intervento.

Protocollo riabilitativo (60 gg postop.)
Durante questo periodo (15-20 gg) il paziente viene sottoposto ad un protocollo di Riabilitazione Intensiva per il rapido ripristino della stazione eretta e di una deambulazione stabile con l'utilizzo di un girello e/o due bastoni canadesi. Questi ausili verranno quindi progressivamente abbandonati fino al raggiungimento della deambulazione libera (l'obiettivo è raggiungerla in 90 gg postop).

Potenziamento muscolare
Successivamente al recupero della articolarità dell'anca e degli arti inf. sarà indispensabile proseguire il potenziamento della muscolatura addomino-pelvica e degli arti inf. presso una palestra debitamente attrezzata (2-3 volte alla settimana) ed intregando a domicilio tutti i giorni per 2-3 mesi. L'obiettivo principale dovranno essere i muscoli direttamente deputati alla deambulazione:
Tricipite della sura, Ileo-psoas (indispensabile per la flessione della coscia) e Glutei (muscoli principi per la stazione eretta e deambulazione. Il loro mancato potenziamento è causa inevitabilmente di una deambulazione con fenomeno di Trendelemburg che spesso viene confuso con una zoppìa da accorciamento).

Controlli, Rx-clinici ed Ortopedici successivi e Prognosi
Generalmente dopo il controllo a 45 gg. è opportuno monitorare i pazienti operati seguendo questa scaletta 4 - 7 - 12 - 24 mesi.
La letteratura dimostra che l'autonomia raggiunta a 2 anni dall'intervento garantisce una buona qualità di vita per almeno 15 anni dopo i quali solo statisticamente si dimostra una maggior tendenza a sviluppare una artrosi dell'anca rispetto ad un individuo senza precedenti traumi.

La necrosi della testa femorale
Qualora si verificasse la comparsa di una necrosi della testa femorale ( più probabile nel 1° anno postop. nel 5-10% dei casi) il paziente avvertirà un ingravescente dolore al carico che lo costringerà a ridurre/sospendere la deambulazione. Sarà necessario eseguire una RM dell'anca operata per confermare la diagnosi. L'indicazione in tal caso è quasi sempre chirurgica e consiste nella sostituzione protesica dell'anca. L'intervento di osteosintesi del bacino non sarà stato tuttavia vano: i pazienti operati al bacino e successivamente protesizzati dimostrano una durata delle protesi non dissimile dagli operati per motivi artrosici (15-20 anni) differentemente da protesi impiantate su bacini non operati che garantiscono una durata media di soli 5-7 anni.

Fonte: Unità Operativa complessa di Ortopedia e Traumatologia dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona sede di Borgo Trento.



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